Posted on: Aprile 17, 2025 Posted by: Andrea Gobbin Comments: 0

Dalla scrittura all’ascolto, dai look simbolici al coraggio di essere sé stessi: la fashion teller che ha cambiato il modo di raccontare la moda sui social ci accompagna in un universo fatto di pensiero, stile e verità.

Nel suo universo digitale, autenticità e consapevolezza non sono slogan, ma atti quotidiani. Ida Galati, con la voce limpida e la penna affilata di chi sa raccontare la moda senza inganni, ha saputo creare un nuovo linguaggio, capace di fondere cultura, narrazione e stile in un’unica visione. È stata tra le prime a portare il fashion storytelling sui social in modo strutturato e intelligente, dando voce – e forma – a un’esigenza diffusa: quella di capire, oltre che di guardare. In questa intervista ci racconta come si resta sé stessi in un mondo che spinge alla performance, perché la moda non è apparenza ma rivelazione, e quale sia, oggi, la più grande sfida (e responsabilità) per chi racconta questo settore.

Ida, nel tuo percorso hai intrecciato moda, comunicazione e autenticità digitale: qual è stato il momento in cui hai capito che la tua voce poteva fare la differenza in un settore spesso dominato da narrazioni costruite?

In realtà l’ho capito quando in Italia si diffondeva Tiktok  ma era ancora permeato non tanto da narrazioni costruite quanto dall’assenza di narrazioni che avessero valore. Ho  pensato quindi che ci fosse una lacuna che potevo colmare non essendo così giovane come i TikToker, ma avendo dalla mia parte tanta conoscenza e anche tanta esperienza narrativa. La mia esperienza era allora prettamente da scrittrice,così quello che ho fatto è stato scommettere sulla possibilità di poter trovare un modo nuovo di scrivere, non più per essere letta, ma per essere ascoltata.

Ho quindi appreso e sperimentato la scrittura di sceneggiature che potessero essere accattivanti, leggere al punto giusto, senza però togliere mai valore al contenuto e quindi perfettamente adatte alla nuova modalità di fruire dei social media in video. Così sono stata tra le prime a portare il racconto di moda prima su TikTok e poi su Instagram, a coniare il termine Fashion Teller e a ideare un telegiornale sulla moda che è andato e continua ad andare in onda tutti i giorni facendo informazione e intrattenimento in modo nuovo, leggero ma al contempo approfondito, senza mai dimenticare di stimolare l’intelletto e la riflessione. Questa è la mia missione: non avere una community che riceve senza pensare, ma avere una community che pensa insieme a me, arricchendoci reciprocamente. Io spero sempre che nella mia community ci siano persone migliori di me, con più conoscenze di me, intelligenti, sensibili, profonde, gentili. Questo è l’universo digitale che sognavo, che alla fine mi appartiene e in cui sto bene, in cui si sta bene.

Ida Galati

 Parli spesso di moda come forma di espressione e consapevolezza: c’è un capo o un look che, più di altri, ti ha aiutata a raccontarti davvero?

Ne parlo soprattutto nel mio libro Il linguaggio segreto della moda, dove sono riuscita finalmente a fondere i miei studi apparentemente poco collegati: la psicologia e il giornalismo di moda. Attraverso questo viaggio narrativo, ho capito che non c’è un unico stile che mi rappresenta e quindi non c’è un unico abito: io sono un mix di stili perché cerco di non far prevalere il femminile o il maschile dentro di me, ma di farli convivere in maniera armonica ed equilibrata. Ecco perché ho bisogno sia di gonne romantiche e corone di fiori che di blazer delle maxi spalle come armatura e simbolo di forza.

Viviamo in un’epoca in cui l’identità online sembra più curata di un red carpet: come si resta autentici – e influenti – senza scivolare nella rappresentazione artefatta di sé?

Con la consapevolezza e la ribellione. Io mi ribello e mi arrabbio perché mi ascolto molto. Sono sicura che nessuno rimane immune decidendo di dedicare tantissimo tempo e denaro per curarsi oltremodo o cambiarsi i connotati per rispondere ai nuovi canoni. O ancora per dire e fare quello che gli altri si aspettano che faccia.

Ci vuole anche un grande atto di coraggio e l’algoritmo ovviamente non premia questo tipo di coraggio, non hai nessun tipo di incentivo o like nel farlo.

Ma io quando ricevo uno stimolo in quel senso, quando sento la pressione dell’algoritmo e di quello che fanno tutti, ascolto subito la mia pancia, sento la rabbia e il malessere e dico no.

Ida Galati

C’è una sfida del mondo della moda attuale che secondo te viene ancora sottovalutata, ma che nei prossimi anni diventerà cruciale?

Trovare voci autorevoli, autentiche.

E sincere che raccontino le storie dei brand senza prenderci in giro (che è anche la mia missione).

Ne parlavo proprio in questi giorni nel mio ultimo video a seguito dello scandalo dei produttori cinesi che pare sui social abbiano scoperchiato il vaso di Pandora svelando tutti i segreti della Supply chain globali. 

I social  stanno scardinando i confini tradizionali tra chi produce e chi consuma: tutti sentono di poter avere una voce e prenderla anche a qualcun altro, così può capitare che i marchi di moda non controllino più il racconto che si fa su di loro. 

Per questo il mondo della moda non può più fingere di essere opaco, perché i social hanno reso trasparente — o almeno visibile — l’intero sistema.

E se non sono i brand a raccontare la verità, saranno gli utenti a raccontare la loro versione. Anche quando è distorta.

Ida Galati

Se dovessi lanciare un tuo manifesto della moda contemporanea, quale sarebbe la prima regola – e l’ultima da infrangere?

Prima regola:

Indossa ciò che ti fa sentire tua. La moda non è un travestimento, è una traduzione visiva dell’anima. Se il cuore batte in lino grezzo o in paillettes, lascialo parlare.

Ultima da infrangere:

Mai vestirsi per compiacere lo sguardo altrui. Lo stile nasce quando smetti di chiederti “piacerò?” e inizi a chiederti “mi rispecchia?”. Non camuffarti. Nemmeno per somigliare al tuo idolo. Sii l’idolo di qualcun’altra.

Perché la vera rivoluzione, oggi, è essere autentici e, come mi piace dire, leggeri ma pe(n)santi. Con grazia. Ma anche con un pizzico di sfrontatezza.

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