Ci sono luoghi che non nascono per piacere a tutti, ma per essere fedeli a una visione. El Beso è uno di questi. Nel panorama della ristorazione italiana, dove la cucina messicana è spesso ridotta a un insieme di simboli ripetuti e sapori addomesticati, questo indirizzo torinese sceglie una strada più complessa — e decisamente più coraggiosa: raccontare il Messico per ciò che è davvero, oggi.
Qui il cibo diventa linguaggio culturale. Le tortillas sono fatte a mano, il mais arriva dal Messico, le ricette affondano le radici nella tradizione azteca e maya ma parlano con una sensibilità contemporanea. Niente folklore, nessuna concessione all’immaginario turistico: El Beso è un ponte autentico tra Torino e Città del Messico, costruito attraverso sapori puri, equilibri calibrati e una miscelazione che è memoria, racconto, vita vissuta.
Più che un ristorante, El Beso è un’esperienza immersiva che unisce cucina, bar, arte e accoglienza in un unico gesto narrativo. Un luogo dove il Messico non viene reinterpretato, ma semplicemente restituito — con rispetto, profondità e una visione che rifiuta i compromessi.
Abbiamo parlato con Andrea Angiono, titolare de El Beso.

La vostra cucina rifiuta consapevolmente i cliché più diffusi della ristorazione messicana.
In un mercato che spesso cerca rassicurazione e riconoscibilità, quanto è stato rischioso scegliere di educare il palato invece che assecondarlo?
È stato un vero azzardo, soprattutto all’inizio. Nove anni fa, quando siamo arrivati a Torino, il rischio era evidente: proporre una cucina messicana che non assomigliasse a quella che l’Europa si aspettava.
La nostra storia nasce prima, a Città del Messico, dove avevamo già un ristorante che raccontava la contemporaneità gastronomica della capitale. Quando ci siamo trasferiti in Italia, abbiamo portato esattamente quella visione: non un’interpretazione europea del Messico, ma il Messico reale di oggi.
Mia moglie, messicana, non si riconosceva minimamente nella cucina “messicana” diffusa qui. Piatti come il chili con carne non fanno parte della sua cultura quotidiana, né della mia esperienza personale in Messico. È un po’ come pensare che la polenta rappresenti tutta la cucina italiana: un’idea rassicurante, ma profondamente incompleta.
Il primo anno è stato durissimo, soprattutto a Torino, una piazza esigente e complessa. All’inizio non eravamo percepiti né come italiani né come messicani. Poi, lentamente, il pubblico è cambiato: oggi arrivano persone che conoscono il Messico, che ne hanno vissuto la cultura, che cercano autenticità e non una caricatura. È stato un percorso lungo, ma necessario.
Parlate di “autenticità”, ma non in senso nostalgico.
Come si può restare fedeli a una tradizione così forte senza trasformarla in un esercizio museale? Dove finisce il rispetto e dove inizia l’interpretazione?
Per noi l’autenticità è qualcosa di estremamente contemporaneo. È lo stesso approccio di un grande ristorante italiano oggi: nessuno direbbe che una carbonara ben fatta sia nostalgia. È tradizione viva.
Noi facciamo esattamente questo con la cucina messicana: piatti tradizionali, ingredienti autentici, ma raccontati con sensibilità attuale.
L’ambiente è fondamentale. Non c’è folklore, non ci sono oggetti decorativi forzati. Non troverai sombreri, maracas o iconografie stereotipate. Al loro posto ci sono opere di artisti messicani contemporanei, pezzi importanti, veri. Questo è il Messico di oggi, soprattutto quello di Città del Messico: elegante, colto, consapevole.
Le ricette possono avere radici azteche o maya, ma vengono realizzate con materie prime di altissima qualità, dal mais originale importato e lavorato da noi, fino al pesce migliore disponibile sul mercato torinese. È una tradizione che respira, che non ha paura del presente.
A El Beso il bar non è un complemento, ma un’estensione della cucina.
In che modo la mixology può raccontare un territorio e una cultura con la stessa profondità di un piatto, e perché per voi era fondamentale dare ai cocktail un ruolo narrativo?
Per noi il bar è memoria, esperienza, racconto personale. La nostra carta dei cocktail non nasce per stupire, ma per ricordare.
Le tequila e i mezcal che proponiamo sono quelli veri, quelli che si bevono in Messico. Alcuni sono gli stessi che servivamo lì, altri sono legati a momenti precisi della nostra vita.
Ogni cocktail racconta una storia: il Cantarito bevuto nei chioschi di Tequila, il Vampiro che ricorda le serate in famiglia a Città del Messico, la Paloma o la Margarita preparate con equilibrio, senza forzature. Non cerchiamo l’effetto lusso fine a sé stesso, ma il sapore giusto.
Anche proposte come il Clamato, amatissimo dai messicani, soprattutto dopo una notte intensa, sono un pezzo di cultura vera. Quando un cliente messicano entra e lo trova in carta, capisce immediatamente che qui c’è rispetto, non imitazione.
L’esperienza che proponete è dichiaratamente immersiva.
Quanto conta oggi, secondo voi, il contesto — ambiente, servizio, ritmo — nella percezione di un ristorante come luogo culturale e non solo gastronomico?
Oggi è tutto. La cucina da sola non basta più.
Nel nostro caso l’accoglienza è diventata una firma. Forse perché il nostro staff è quasi interamente messicano o latinoamericano: sorrisi, calore, un’energia diversa che a Torino si percepisce subito.
Il servizio è narrativo: la prima domanda non è mai “cosa volete ordinare?”, ma “siete già stati da noi?”. Se è la prima volta, raccontiamo la nostra storia, il perché di El Beso, da dove nasce questo progetto. Solo dopo si entra nel menu.
Anche il ritmo, le luci, l’arte alle pareti contribuiscono a creare un viaggio. Non è un Messico folkloristico, ma un Messico reale, vissuto, contemporaneo. È questa coerenza che rende l’esperienza autentica.
El Beso viene descritto come un ponte tra Torino e il Messico.
Se doveste immaginare il vostro futuro, vi vedete più come custodi di una tradizione o come esploratori di nuove contaminazioni?
Non ci vediamo come esploratori di contaminazioni forzate. Non amiamo il concetto di fusion: è difficile da fare bene e spesso tradisce entrambe le culture.
Il nostro futuro è nella profondità, non nella mescolanza superficiale.
Stiamo lavorando a nuovi menu degustazione: uno interamente dedicato alla tradizione, uno più innovativo e uno che dialoga tra le due dimensioni. È un’evoluzione naturale, che nasce dalla stessa visione con cui siamo partiti.
El Beso continuerà a essere questo: un luogo che racconta una cultura con rispetto, senza compromessi, ma con lo sguardo sempre rivolto al presente.






